aprile 1, 2024

Umanità migrante e Covid: l’anima delle persone

Pubblicato su Pressenza il 05.03.24 

Safina e Ataya è un libro di Alessia Belli pubblicato da Libreria Dante & Descartes che tratta un tema abbastanza dimenticato e cioé quello che succedeva nelle navi quarantena piene di migranti durante la pandemia da Covid.

Safina e Ataia non sono, come penseranno i più guardando la copertina, due persone ma sono da un lato il nome arabo per nave e dall’altro la parola wolof che indica il té ma anche la complessa cerimonia per prepararlo che chiunque si è aggirato da quelle parti conosce benissimo e da cui è stato assolutamente affascinato.

Alessia è una volontaria che si occupa un po’ di tutto nel lavoro di assistenza sulle varie navi quarantena che si sono succedute durante l’emergenza e su cui i migranti dovevano restare prima di seguire la trafila dell’arrivo vero e proprio in Italia, un’ulteriore e inaspettata dilazione dell’agognato arrivo nella Terra Promessa, come è per molti di loro il continente europeo.

Il libro è come un diario che dipinge tavolozze di umanità in cui l’autrice si è trovata, così come ci si trova in un microcosmo rarefatto dove mille storie si intrecciano e che Alessia racconta con molto trasporto, ironia, intensità e soprattuto un grande amore per questa grande varietà di esseri umani con cui ha avuto la fortuna di entrare in contatto.

Perché in effetti Alessia ci ricorda che avere la fortuna di aiutare chi è stato meno fortunato è un grande privilegio e un modo fantastico di passare la propria vita, di scoprire inaspettate umanità, nuovi mondi, diversi modi di fare le cose… E, se siamo aperti e ricettivi, questi incontri non possono far altro che arricchirci e spingerci nel nostro fare per il cambiamento, per un mondo giusto, dove le opportunità siano per tutti e di tutti.

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aprile 1, 2024

Zelensky e le liste di proscrizione

Pubblicato su Pressenza il 26.02.24 

Quest’articolo è disponibile anche in: Francese

(Foto di https://twitter.com/maurizioacerbo)

Numerosi organi di stampa hanno riportato le parole del Presidente ucraino Zelensky nella conferenza stampa al margine del G7: “Sappiamo però che in Italia ci sono tanti filo-putiniani e in Europa anche. Stiamo preparando una loro lista, non solo riguardo all’Italia, da presentare alla Commissione europea. Riuscirete a zittirli?”

Intanto, e da tempo, con la scusa dello stato di guerra il governo ucraino ha messo fuori legge numerosi partiti dell’opposizione di sinistra, ha messo sotto processo gli obiettori di coscienza alla guerra. Adesso pensa di agire all’estero?

Non abbiamo visto sostanziali reazioni politiche o giornalistiche alle parole pericolose di Zelensky, un attacco evidente alla libertà di espressione e di dissenso.

Questi sono i “valori dell’Occidente” che Zelensky intende difendere?

Sono parole che evocano pratiche che dovrebbero essere state cancellate dalla storia dell’Umanità: liste di proscrizione, epurazioni, persecuzioni, deportazioni…

Noi pensiamo che i valori dell’Umanità, non dell’Occidente, siano quelli scritti nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, dichiarazione disattesa in primo luogo nel diritto dei popoli alla pace, in quello alla libera circolazione delle persone, nel diritto a una vita degna, alla salute, all’educazione, alla libertà di espressione.

C’è una divergenza sempre più grande  tra quei diritti e l’agire dei governi e delle potenze multinazionali che stanno influenzando e tentando di dirigere quei governi, in primo luogo la potente lobby del commercio di armi.

E all’orrore delle guerre infinite, dei massacri indecenti che vediamo in Palestina in modo esplicito ma in tanti altri posti quasi alla chetichella opporremo sempre gli strumenti della nonviolenza, dell’obiezione di coscienza, della denuncia di tutti i soprusi, da qualunque parte essi vengano.

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aprile 1, 2024

Cascina Bosco: trovare un equilibrio tra obiettivi ambientali, produzione agricola e  benessere delle persone

Pubblicato su Pressenza il 24.02.24 

Roberto è con Ilena il proprietario ma soprattutto l’ideatore di Cascina Bosco a Nicorvo, in provincia di Pavia. “E’ la nostra casa e la nostra terra che coltiviamo con rispetto e devozione, senza avvelenarla, senza consumarla” come recita il loro bellissimo sito www.cascinaboscofornasara.it

Roberto, come nasce questa idea?

La storia di Cascina Bosco inizia con la passione mia e di Ilena, fondatori e ideatori. La filosofia alla base di questo progetto è quella di considerare la propria casa e la propria terra non solo come un semplice luogo di residenza e lavoro, ma come qualcosa di prezioso da coltivare con rispetto e devozione.

L’idea di Cascina Bosco nasce quindi dall’amore per la natura e dalla consapevolezza dell’importanza di preservare l’ambiente circostante. Abbiamo  sviluppato questa visione attraverso esperienze personali, studi e una profonda riflessione sui principi di sostenibilità e responsabilità ambientale.

Io con la mia laurea in Scienze Motorie, ho iniziato a lavorare nell’azienda agricola tradizionale di mio padre, immerso nelle sfide quotidiane dei campi. Tuttavia, la consapevolezza dell’impatto ambientale delle pratiche agricole convenzionali ha risuonato profondamente in me e mi ha portato ad informarmi su metodi più sostenibili di coltivazione e a sperimentare l’agricoltura biologica applicata alla coltivazione del riso.

Dall’altra parte Ilena, con il suo background in Antropologia Culturale ed Etnologia, ha trascorso un periodo di ricerca tra gli indigeni tzotzil del Chiapas, sperimentando la connessione profonda tra gli esseri umani e la terra che li sostiene.

La decisione di tornare alla cascina dei suoi nonni e costruire una famiglia è stata un’epifania, un momento in cui abbiamo capito che il nostro vero scopo era quello di proteggere e preservare la terra per le generazioni future.

Siamo tornati a lavorare in campagna con umiltà e passione. Sebbene le nostre lauree in Scienze Motorie e Antropologia Culturale non fossero strettamente legate all’agricoltura, abbiamo coltivato la nostra conoscenza attraverso un’esperienza pratica e l’incoraggiamento dei nostri colleghi agricoltori.

Dedicandoci a corsi, imparando dai successi e dagli errori, abbiamo affinato le nostre competenze e acquisito una comprensione profonda del lavoro della terra. Ogni giorno, ci avventuriamo nei campi con un desiderio insaziabile di imparare e migliorare, consapevoli che l’arte della coltivazione è un processo continuo di scoperta e connessione con la natura.

Con i nostri figli, Cloe e Noah, come testimoni del nostro impegno, ci dedichiamo con passione alla coltivazione biologica, consapevoli che ogni gesto, ogni pianta, è un atto d’amore per la nostra terra e per il futuro che vogliamo costruire.

Uno degli obiettivi chiave di Cascina Bosco è quello di adottare pratiche di agricoltura rigenerativa e di promuovere la riforestazione. In un territorio precedentemente dedito alla monocultura di tipo agroindustriale, ci impegnamo attivamente a ricreare biodiversità e a ripristinare gli ecosistemi locali. Questo include l’adozione di tecniche agricole che favoriscono la rigenerazione del suolo, la conservazione dell’acqua e la promozione della salute delle piante senza l’uso di pesticidi nocivi.

Inoltre, Cascina Bosco si impegna nella riforestazione delle aree circostanti, piantando alberi nativi e contribuendo così alla creazione di corridoi ecologici e alla promozione della biodiversità locale.

In sintesi, Cascina Bosco non solo si impegna a coltivare la terra con rispetto e devozione, ma anche a promuovere l’agricoltura rigenerativa e la riforestazione come parte integrante del suo progetto, con l’obiettivo di ricreare biodiversità in un territorio precedentemente dominato dalla monocultura agroindustriale.

Voi non siete una piccola azienda, ma un complesso di attività agricole biologiche, etiche, sostenibili. Vuoi spiegare questi concetti e la loro applicazione pratica?

La nostra azienda produce principalmente riso Carnaroli, riso Rosa Marchetti, miglio, piselli e fagioli seguendo i principi della policoltura, dell’agricoltura rigenerativa e dell’agroecologia, metodi che vanno oltre il biologico.

Si tratta di tecniche agronomiche che si basano sulla coltivazione di antiche varietà di cereali e legumi che vengono seminati in rotazione tra loro e in consociazione ad erbe spontanee, siepi ed alberi. Non utilizziamo prodotti chimici di sintesi né concimi organici, ma lavoriamo in sinergia con la natura, promuovendo i meccanismi di autofertilità del suolo, facendo dell’agricoltura un’attività sostenibile, a tutela degli agro-ecosistemi.

Il nostro progetto di agricoltura biologica si basa sulla sinergia tra natura e coltura e l’obiettivo ultimo di ogni nostro sforzo è quello di ricreare un habitat distrutto da decenni di monocoltura, coltivazione intensiva e prodotti chimici di sintesi.

Non si tratta solo di coltivare senza utilizzare prodotti chimici di sintesi, ma di cambiare il modo di intendere l’agricoltura passando da una mentalità “estrattiva”, di sfruttamento delle risorse, ad una di rispetto e conservazione di tutto ciò che vive e cresce sulla Terra.

Teniamo i terreni sempre coperti da vegetazione, evitiamo le arature, variamo le colture, lasciamo le rive inerbite.

Cascina Bosco si distingue per il suo impegno nell’adottare un approccio all’agricoltura che integra i principi dell’agricoltura biologica rigenerativa, dell’etica e della sostenibilità.

Attraverso l’adozione di pratiche agricole come la rotazione delle colture, erbai e semine consociate, Cascina Bosco protegge la fertilità del suolo e la salute delle piante, contribuendo al miglioramento degli ecosistemi locali e alla promozione della biodiversità. Inoltre, l’azienda si impegna a promuovere il benessere delle comunità locali, offrendo un prezzo di comunità per chi acquista direttamente in azienda o presso la rivendita in paese. Questo non solo rende i loro prodotti accessibili a tutti, ma contribuisce anche alla valorizzazione della produzione agricola locale e all’instaurarsi di un legame più stretto tra l’azienda e la comunità.

Infine, attraverso la produzione di alimenti salubri e ricchi di nutrienti, Cascina Bosco offre alla propria comunità l’opportunità di accedere a cibo di alta qualità. Questo non solo promuove uno stile di vita sano, ma contribuisce anche alla valorizzazione della produzione agricola locale e alla riduzione dell’impatto ambientale associato alla catena di approvvigionamento alimentare.

Come queste attività sono diventate sostenibili anche economicamente? Cioé come si può vivere coltivando la terra con questa visione etica?

La sostenibilità economica di Cascina Bosco è fondamentale per garantire la continuità delle sue attività agricole in linea con la visione etica dell’azienda. Questo equilibrio tra sostenibilità economica, ambientale e sociale è cruciale per il successo a lungo termine dell’azienda.

Per quanto riguarda la sostenibilità economica, Cascina Bosco adotta diverse strategie:

  1. Diversificazione delle entrate: Oltre alla produzione agricola, l’azienda offre servizi complementari come agriturismo, educazione ambientale o vendita di prodotti correlati. Questa diversificazione delle entrate contribuisce a ridurre la dipendenza dai profitti agricoli diretti e a garantire una maggiore stabilità finanziaria.
  2. Ottimizzazione delle risorse: Cascina Bosco si impegna a utilizzare pratiche agricole che minimizzano i costi e massimizzano l’efficienza. Ciò include l’adozione di tecniche come i sovesci, la semina su sodo e la minima lavorazione del terreno, che riducono la necessità di input costosi come fertilizzanti e carburante per i macchinari agricoli.
  3. Vendita diretta e prezzi equi: L’azienda adotta modelli di vendita diretti, come la vendita diretta in azienda o presso rivendite locali, e offre prezzi equi per i consumatori che acquistano direttamente da loro. Questo elimina gli intermediari e consente a Cascina Bosco di mantenere margini di profitto più elevati, garantendo al contempo prezzi accessibili per i clienti.
  4. Coinvolgimento della comunità: L’azienda promuove l’interesse e il sostegno della comunità locale attraverso iniziative come giornate a porte aperte, visite guidate, corsi, eventi dedicati alla collettività

In questi giorni le proteste degli agricoltori sembrano essere antiecologiche e su tematiche che non colgono l’aspetto centrale di come produrre cibo per tutti, che dovrebbe essere lo scopo dell’agricoltura: voi come avete osservato e vissuto queste proteste?

Le proteste degli agricoltori in Europa hanno messo in evidenza una crisi strutturale nel settore primario e nell’intera filiera agroalimentare dell’Unione Europea. Tuttavia, attribuire la colpa al Green Deal e al Farm to Fork dell’UE è sbagliato.

In realtà, il problema principale è l’insostenibilità economica della produzione alimentare in Europa, con gli agricoltori costretti a vendere al di sotto dei costi di produzione. Questo rende comprensibili le loro proteste, ma incolpare il Green Deal è miope e pericoloso, specialmente considerando le decisioni controverse delle istituzioni europee, come il ritiro del regolamento Sur sulla riduzione dei pesticidi e il via libera alle Tecniche di evoluzione assistita (TEA).

Le vere cause della crisi agricola risiedono nei modelli di produzione, distribuzione e supporto agli agricoltori. Un numero limitato di grandi gruppi industriali domina il mercato globale delle attrezzature agricole, delle sementi e della commercializzazione di cereali e altri alimenti, influenzando direttamente i prezzi per produttori e consumatori.

Cascina Bosco ha osservato con attenzione le recenti proteste degli agricoltori e riconosce la complessità delle questioni sollevate. Pur condividendo alcune preoccupazioni, come il principio di reciprocità nelle importazioni, l’azienda non concorda sullo smantellamento del Green Deal e critica l’eventuale strumentalizzazione e disinformazione riguardo a queste questioni.

Per quanto riguarda il Green Deal, Cascina Bosco ritiene che sia fondamentale trovare un equilibrio tra gli obiettivi ambientali e quelli legati alla produzione agricola e al benessere dei consumatori. Il vincolo del 4% di incolto non è una richiesta di non coltivare, come viene spesso erroneamente interpretato, ma una misura per la tutela della biodiversità. Infatti, vengono inclusi in questa percentuale elementi caratteristici del paesaggio già presenti nelle aziende agricole, come stagni, boschetti, fasce alberate, siepi, muretti a secco, fossati, canali artificiali, margini dei campi e simili, oltre a terreni a riposo, fasce tampone lungo i corsi d’acqua e fasce inerbite su terreni in pendenza. Questi elementi contribuiscono alla biodiversità e al benessere degli ecosistemi.

Pur non schierandosi dalla parte delle proteste, Cascina Bosco riconosce la validità di alcuni obiettivi condivisibili, ma non supporta l’opposizione ostinata da parte delle aziende alle pratiche agroecologiche necessarie per una transizione del settore. L’azienda ritiene che un dialogo costruttivo e un approccio collaborativo siano fondamentali per affrontare le sfide del settore agricolo e garantire una produzione sostenibile e rispettosa dell’ambiente.

Qual è il ruolo del profitto, della speculazione e delle grandi holding multinazionali in tutta questa faccenda?

Nel contesto delle proteste, è cruciale esaminare il ruolo del profitto e delle grandi holding multinazionali nel settore agricolo. Le aziende agricole che cercano di massimizzare il profitto, spesso in linea con le dinamiche del settore agroindustriale, portano a sacrificare l’ambiente, la salute e la biodiversità. Allo stesso tempo, le grandi holding multinazionali hanno un interesse significativo nel mantenere le aziende agricole legate a dinamiche che favoriscono la loro redditività, come l’agroindustria e la grande distribuzione

Tuttavia, è importante riconoscere che il Green Deal europeo, pur con i suoi limiti, si propone di stimolare una transizione verso pratiche agricole più sostenibili. Questo potrebbe offrire agli agricoltori diversi vantaggi, tra cui una minore dipendenza da input esterni costosi come concimi e fitofarmaci, un aumento della fertilità del suolo e una maggiore valorizzazione delle produzioni.

Pertanto, mentre le proteste agricole possono sollevare legittime preoccupazioni riguardo al ruolo del profitto e delle grandi holding multinazionali, è fondamentale considerare anche le opportunità offerte dal Green Deal per una trasformazione positiva nel settore agricolo.

L’agricoltura dovrebbe evolversi verso un modello più sostenibile e resiliente, che rispetti l’equilibrio tra le esigenze umane e l’ambiente. Questo significa adottare pratiche agricole che promuovano la salute del suolo, la biodiversità e la conservazione delle risorse naturali, riducendo al contempo l’uso di input chimici e il consumo di energia. Inoltre, l’agricoltura del futuro dovrebbe essere inclusiva ed equa, garantendo la sicurezza alimentare e il sostentamento per gli agricoltori, oltre a fornire cibo sano e accessibile per tutti. La ricerca e l’innovazione svolgeranno un ruolo chiave nel migliorare le pratiche agricole e sviluppare nuove tecnologie per affrontare sfide come il cambiamento climatico e la scarsità di risorse. Inoltre, l’agricoltura dovrebbe integrarsi maggiormente con i sistemi naturali e favorire la rigenerazione degli ecosistemi, contribuendo così a mitigare gli effetti negativi sull’ambiente e ad adattarsi alle condizioni climatiche mutevoli. In definitiva, l’agricoltura del futuro dovrebbe essere un motore per la sostenibilità, la salute e la prosperità per le generazioni presenti e future.

Cascina Bosco, oltre ad essere un’azienda agricola, ha anche un ruolo educativo e di ricerca?

Sì, Cascina Bosco svolge un ruolo significativo nell’ambito dell’istruzione e della ricerca, collaborando attivamente con diverse università e enti di ricerca. Nel corso degli anni abbiamo stretto partnership con istituzioni accademiche come l’Università di Pavia e l’Università di Torino, nonché con enti di ricerca come CREA e ERSAF. Quest’anno stiamo espandendo ulteriormente le nostre collaborazioni, avviando sperimentazioni di consociazioni con l’Università di Firenze e la Rete Semi Rurali, e una sperimentazione con l’Università di Milano e EIT Food.

Inoltre, in collaborazione con l’Associazione Polycolturae, ospitiamo una dottoranda che si dedica alla ricerca sui servizi ecosistemici dell’azienda. Organizziamo anche regolarmente giornate aperte alla comunità locale, durante le quali affrontiamo tematiche agricole e ambientali e promuoviamo azioni concrete come piantumazioni collettive di alberi e arbusti. L’obiettivo di queste iniziative è sensibilizzare la comunità sull’importanza della sostenibilità ambientale e alimentare e promuovere la partecipazione attiva nella tutela dell’ambiente.

febbraio 9, 2024

Anche se voi vi credete assolti

Erano grosso modo gli inizi degli anni ’70 quando ho incrociato Fabrizio e le sue canzoni.

La prima che ho sentito era La Ballata dell’Amore Cieco e, all’epoca, era una mazzata, semplicemente una mazzata, qualcosa che non era concepito nel mondo “normale” che noi frequentavamo.

Eppure quella canzone aveva un’attrazione particolare, qualcosa che stava nell’aria in una certa sensibilità, una sensibilità di ribellione, di discussione dell’ordine stabilito.

In questi giorni hanno celebrato i 25 anni dalla morte.

Io ero a Santiago del Cile, la notizia mi giunse non ricordo come mentre ero nella casa dove ero ospite; c’era un pianoforte ed ero da solo, così mi misi al piano (suono 4 accordi) e cantai La Guerra di Piero come omaggio al maestro che se n’era andato. Da solo, al vento.

Quando se ne vanno i personaggi scomodi come è sempre rimasto lui ci sono gli elogi postumi. Dopo 25 anni anche le ricostruzioni storiche che imbelliscono, stirano la figura umana, elogiano la grande capacità.

Al mare, sempre all’inizio degli anni ’70, a casa di Rosa a Marina di Pietrasanta qualcuno aveva portato una copia di uno dei primi dischi di De André, la sorella minore, Valentina, faceva la piantona sull’uscio di casa per controllare che non tornassero i genitori e noi mettevamo su il 78 giri acoltando in rigoroso silenzio le canzoni; era un rito con un quid mistico e un brivido di gesti proibiti.

Un paio di anni dopo gita di fine anno e di terza liceo classico, chiedo alla prof. di Matematica, una tipa di sinistra, se posso mettere una cassetta mentre siamo in viaggio sul pullman; lei guarda l’etichetta e dice “dai Olivier, ci sono anche i ragazzi di quarta ginnasio, potrebbe essere troppo per loro”.

Anche se voi vi credete assolti, siete pur sempre coinvolti.

I semi di ribellione che Fabrizio ha sparso alla sua maniera continuano a germogliare, e continueranno più in là delle celebrazioni.

febbraio 9, 2024

Vincenzo Arte: cerchiamo una scuola più a misura di bambini e ragazzi, centrata su di loro

Pubblicato su Pressenza il 29.01.24 – Olivier Turquet

Vincenzo Arte è insegnante e autore del libro Crescere senza Voti e uno dei coordinatori del Movimento Scuole Senza Voto che è stato messo in moto all’interno del progetto del Polo Europeo della conoscenza.

In una scuola che sembra tendere alla competitività, con un Ministero dell’Istruzione che diventa anche del merito il vostro modo di vedere le cose sembra controcorrente, ce lo vuoi spiegare?

Sì, non è la prima volta che mi sento un salmone, mi capita spesso di andare controcorrente, credo perché cerco di guardare la vita senza i paraocchi che la società, le tradizioni, i modelli culturali o le nostre stesse autodifese ci vorrebbero mettere. Non condivido l’impostazione selettiva che alcune scuole e alcuni docenti danno al proprio lavoro.

Il punto è che siamo in un mondo basato sulla competizione e sull’individualismo e invece mi piacerebbe un mondo cooperativo e solidale, in cui chi ha di più aiuti chi è più in difficoltà. E rifiuto l’idea di scuola come luogo di sacrificio e sofferenza.

Ritengo che almeno nella scuola dell’obbligo, se non fino ai 18 anni, i ragazzi debbano poter dare quello che possono senza essere giudicati giorno per giorno, senza essere trattati come dei numeri. Devono partecipare alle attività scolastiche collaborando tra loro, impegnandosi nello studio, apprendendo in un clima il più possibile sereno e libero. Se riuscissimo a far crescere una generazione di donne e uomini rispettosi ma liberi, colti ma creativi, forse loro potrebbero migliorare questo mondo malaticcio che ereditano da noi.

Otto anni fa, insieme a delle care colleghe abbiamo iniziato ad applicare in un liceo metodologie didattiche che tanti ritenevano potessero essere valide solo per la scuola primaria o per la media inferiore. Il successo è stato tale da far diventare il nostro un modello che oggi ispira istituti di ogni tipo.

Quali sono i principi fondanti che uniscono le varie realtà che sperimentano questo metodo?

Cerchiamo una scuola più a misura di bambini e ragazzi, centrata su di loro. Sono in fase evolutiva, stanno crescendo, si stanno formando nel senso che le loro persone stanno prendendo  forma. Per essere ben guidati e accompagnati in questo processo c’è bisogno che la scuola  li accolga e si con-formi a loro e non viceversa. Ognuno di noi lo fa a modo suo ma su una cosa siamo più o meno tutti d’accordo: durante un percorso, la valutazione deve essere formativa e i voti non lo sono. Quindi, semplicemente, non li usiamo.

Secondo voi quindi i voti a scuola non sono utili?

L’apprendimento ha ben poco a che fare col voto. Anzi. Normalmente il voto crea la cornice per un apprendimento inefficace, nel senso di poco duraturo, poco pervasivo, poco maturo. La didattica imperniata sul giudizio e sul voto incentiva lo studente a considerare primaria non la propria crescita culturale ma l’ottenimento del voto, per cui vengono messe in campo tutte le tecniche adatte allo scopo, inganni, sotterfugi, soprattutto nei compiti scritti, oppure lo studio matto e disperatissimo del giorno prima, che fa ottenere un voto decente ma è troppo spesso accompagnato, entro una settimana, dalla totale rimozione delle nozioni memorizzate.

Il voto, da mezzo per la didattica, diventa”fine”, scopo ultimo delle attività. Il docente è soddisfatto quando ha il registro pieno di voti, l’alunno è realizzato se ha preso il voto a cui puntava. Inoltre i voti sono divisivi, innescano confronti tra ragazzi, creano graduatorie e meccanismi competitivi deleteri per il gruppo classe e non hanno nulla di formativo, non dicono niente sull’andamento della prova, non fanno capire cosa sia stato fatto bene e cosa male, non fanno capire dove e perché si sia sbagliato, non danno suggerimenti per il futuro. Insomma, di ragioni per allontanare il nostro sistema scolastico dal mercimonio dei voti, ce ne sarebbero, anche se volessimo trascurare alcuni eccessi, come quelli del voto brandito come un’arma di ricatto da parte del docente o come quegli atteggiamenti di sudditanza, piaggeria, adulazione, servilismo cui alcuni alunni vengono indotti.

Ma i voti non sono obbligatori per legge?

La normativa parla chiaro: in pagella i voti ci devono essere perché lì il voto rappresenta la parte di valutazione sommativa, conclusiva. Ma durante l’anno, giorno per giorno, a scuola, la valutazione deve essere formativa, per cui nessuna norma può obbligare i docenti ad utilizzare i numeri che, come dicevo prima, nulla hanno di formativo, e infatti nessuna norma lo fa.

Cosa sta facendo concretamente questo coordinamento?

Cominciano a essere tante le scuole che utilizzano la valutazione orientante, educativa, descrittiva, o come la si vuol chiamare, comunque una valutazione senza voti, quindi formativa. Di conseguenza stanno nascendo spontaneamente tanti coordinamenti locali oppure online ma bisognerebbe riuscire a mettersi tutti insieme. È uno degli obiettivi, ci stiamo provando. E poi facciamo formazione per contagiare altri docenti e dirigenti. Per fortuna si stanno creando forti sinergie tra questo mondo di insegnanti di scuola e tanti docenti universitari delle facoltà di pedagogia di tutta Italia che ci supportano e ci assistono nei progetti che realizziamo nelle scuole. Ma siamo agli inizi, non è facile organizzarci, come insegnanti di scuola abbiamo già un grande lavoro che ci occupa molto tempo.

Come questo movimento si relaziona e/o collabora con le altre realtà pedagogiche nonviolente e libertarie?

Come dicevo prima, siamo solo all’inizio di un percorso, però con alcuni siamo già interconnessi: il “Coordinamento scuole senza voto”, nato grazie soprattutto a Ferdinando Ciani della “Pedagogia del gratuito” e Sonia Bacchi; il MCE, fondati sulla pedagogia Freinet ideata per la primaria ma che oggi ha gruppi di lavoro specifici anche per la secondaria di primo e secondo grado; il “Coordinamento per la valutazione educativa” promosso dal professor Corsini di RomaTre. Le realtà in tutta Italia sono numerose, per fortuna, e bisognerebbe intercettarle per farne una mappatura e costitituire una rete finalizzata allo scambio di esperienze e formazione.

Come partecipare, formarsi, restare in contatto?

Per ora io e altri docenti stiamo girando su e giù l’italia per incontri formativi con colleghi e dirigenti, oltre a tenere corsi online. Con il professor Guido Benvenuto della Sapienza e con alcuni dei coordinamenti con cui siamo in contatto stiamo progettando delle attività più strutturate per il prossimo anno scolastico.

febbraio 9, 2024

Antonio Mazzeo: come fa la Leonardo a dire che non è implicata nei teatri di guerra?

Pubblicato su Pressenza il 18.01.24 – Olivier Turquet

(Foto di Leonardo)

L’ospedale Bambin Gesù ha rifiutato una donazione natalizia di Leonardo ritenendola “inopportuna”. La Società ha commentato dicendo “In tutti i teatri di guerra in corso non c’è nessun sistema offensivo di nostra produzione” (Repubblica, 12 Gennaio).

Abbiamo fatto su questo alcune domande a Antonio Mazzeo, giornalista pacifista specializzato in questioni militari ed editorialista di Pressenza.

Antonio, sulla base di cosa Leonardo può fare un’affermazione del genere? E con quale credibilità?

Beh, bisognerebbe chiedere ai manager di Leonardo perché si siano inventati una risposta che non trova alcun fondamento né tra i comunicati stampa emessi in tutti questi anni dalla holding armiera a capitale pubblico, né tra le relazioni ufficiali periodiche delle autorità governative sulle attività di esportazione delle aziende belliche italiane.

Israele è uno dei partner strategici di Leonardo Spa o delle società controllate interamente o parzialmente che hanno sede sociale in paesi terzi (in particolare negli Stati Uniti d’America). Sono stati realizzati negli stabilimenti di Alenia Aermacchi (Leonardo) di Venegono Inferiore (Varese), i caccia-addestratori M-346 “Master” dove si formano i top gun dell’Aeronautica militare israeliana, prima di operare nei cacciabombardieri di IV e V generazione (come i famigerati F-35 che sono stati predisposti per l’uso di armi nucleari tattiche) che stanno sterminando morte e distruzione a Gaza, Libano meridionale e Siria.

Negli stabilimenti AgustaWestland di Leonardo sono stati realizzati gli elicotteri d’addestramento che le forze armate israeliane hanno acquistato un paio di anni fa per “formare” i reparti elicotteristici destinati alle operazioni di guerra. E a bordo dei carri armati che hanno raso al suolo tanti quartieri di Gaza sono stati predisposti sofisticati sistemi di “autoprotezione” realizzati in joint venture dalla controllata USA di Leonardo (DRS) e aziende israeliane leader nel settore bellico.

Questo per quello che riguarda solo il caso di Israele. Ma possiamo dimenticare l’apporto di Leonardo al potenziamento bellico delle forze armate turche? Al regime di Erdogan è stato fornito il know how per realizzare in Turchia gli elicotteri d’attacco “Atak”, la versione nazionale degli Agusta Westland A129 “Mangusta” di Leonardo, costantemente impiegati dalle forze armate di Ankara per bombardare i villaggi kurdi in territorio turco, iracheno e siriano. Ed oltre a questi sistemi di morte, Leonardo SpA, attraverso la controllata Telespazio, ha fornito alla Turchia componenti vitali per la realizzazione del programma aerospaziale militare “Göktürk-1”, basato su un satellite di osservazione della Terra con un sensore ottico ad alta risoluzione, un centro per l’integrazione satellitare e i test (costruito ad Ankara) e un segmento terrestre responsabile del controllo missione, della gestione in orbita, dell’acquisizione e processamento dati. Il satellite “Göktürk-1” è stato lanciato in orbita il 5 dicembre 2016 dallo spazioporto europeo di Kourou, in Guyana francese, con un lanciatore italiano VEGA, sotto il controllo del Centro Spaziale del Fucino di Telespazio.

E’ possibile sapere con una ragionevole approssimazione che parte delle attività di Leonardo è dedicata alla produzione di armamenti o di sistemi direttamente legati alla guerra?

Soprattutto il settore aerospaziale transnazionale si sta caratterizzando per la ricerca, sperimentazione e produzione di sistemi cosiddetti “dual”, che cioè possono operare in qualsiasi momenti in contesti di tipo “civile” o di tipo “militare” o in quell’area grigia rappresentata dalle operazioni di “soccorso” in caso di eventi bellici, pandemie, catastrofi, ecc.

Ciò rende davvero impossibile quantificare le percentuali di produzione a fini bellici di un’azienda che operi in questo settore. Tuttavia ci sono comparti produttivi di Leonardo che continuano a caratterizzarsi per l’esclusiva realizzazione di sistemi d’arma. Penso in particolare agli stabilimenti ex OTO Melara di La Spezia dove si costruiscono cannoni terrestri e navali, carri armati e blindati, spesso in joint venture con il gruppo privato IVECO Defense Systems con quartier generale a Bolzano. C’è poi il settore della cybersecurity i cui prodotti sono destinati alle forze armate e gli apparati sicuritari statali. Nelle guerre cibernetiche Leonardo e le aziende controllate hanno assunto un ruolo chiave in Italia e a livello internazionale.

Le produzioni della compartecipata (il 30% di Leonardo è capitale pubblico) che andamento hanno avuto negli ultimi anni?

Gli ordini di prodotti Leonardo sono cresciuti progressivamente negli ultimi anni (il loro valore era di 11.595.000,000 euro nel 2017, mentre sono stati per 17.226.000.000 euro nel 2022).

Anche in termini di ricavi i bilanci di Leonardo hanno evidenziato una forte crescita: 11.527.000.000 euro nel 2017, 14.713.000.000 euro cinque anni dopo. Nel 2023 fatturati e dividendi sono ulteriormente cresciuti per cui c’è da attendersi un ulteriore salto in avanti di quella che è ormai si è consolidata nella classifica “top ten” delle grandi aziende produttrici di sistemi di guerra.

Ma attenzione, non sono tutte “rose” quello che governi e partiti di maggioranza e opposizione ci fanno credere quando esaltano le capacità produttrici di Leonardo e i suoi benefici per la società e l’economia italiana. I bilanci del gruppo rivelano infatti anche il boom dell’indebitamento della holding, passato da 2.351.000.000 nel 2018 a 3.016.000.000 nel 2022. Come dire cioè, che i benefit vanno ai manager e agli azionisti, mentre il pagamento dei debiti a banche e gruppi finanziari internazionali spetta ai contribuenti italiani.

febbraio 9, 2024

Daniele Gamba, dopo la sospensione della sua sezione di Legambiente: “Siamo stupiti e preoccupati”

Pubblicato su Pressenza il 15.01.24 – Olivier Turquet

(Foto di Legambiente)

Varie volte la locale Redazione di Pressenza si è occupata dello stato dell’ambiente in Piemonte Orientale. Ora apprendiamo che la locale sezione biellese di Legambiente con cui abbiamo collaborato è stata chiusa. Ne parliamo con Daniele Gamba che ne è il coordinatore.

Daniele, cosa è successo?

Siamo al momento “sospesi”. Una sospensione che ci stupisce per merito e metodo. Nel merito: poiché il circolo ha semplicemente esercitato quello che ritiene un banale diritto di opinione, le tesi e i lavori congressuali non possono essere infatti ritenuti lavori secretati. Banalmente nel nostro post su facebook, quello incriminato, illustriamo la posizione e le perplessità tenuta nel congresso su vari temi rimandando anche ad un articolo su Pressenza.

Nel metodo: i rilievi e i provvedimenti circa i comportamenti dei circoli spettano infatti ad un organo denominato Consiglio di Presidenza e, in seconda battuta, all’Assemblea dei Soci (i circoli della regione). Anziché provvedere con urgenza alla costituzione di tale organo si è è scelta l’urgenza della sospensione, usata come ricatto per ottenere la cancellazione di questo post.

Qual è stata la vostra reazione e quella del territorio?

Siamo stupiti del provvedimento, che riteniamo sproporzionato e illegittimo. Ci sembra di essere tornati al centralismo democratico.

Cosa contate di fare ora?

Ovviamente affronteremo l’iter che si prospetta ma riteniamo doveroso fare presente pubblicamente a chi segue i lavori di questa associazione ed ai nostri simpatizzanti i rischi di una linea e una reggenza volta più alla ricerca di alleanze con il mondo delle imprese anziché con la propria base sociale.

Vorrei esprimere la solidarietà di Pressenza e la nostra preoccupazione per una evidente limitazione alla libertà di espressione e di dissenso. Qual è la tua sensazione di fronte al proliferare di queste grosse holding dell’energia e della gestione ambientale?

Siamo preoccupati. Il Circolo di Biella ha più vertenze in corso, ultimamente contro una discarica di amianto in mezzo alle risaie e un termovalirzzatore per rifiuti sopeciali a Cavaglià in procedura di VIA. Quest’ultimo progetto è avanzato da A2A Ambiente Spa.

E’ assai difficile essere credibili nell’opposizione a tale progetto quando Legambiente nazionale firma protocolli d’intesa con A2A per contrastare i “Nimby” o Legambiente regionale organizza ecoforum dando spazio ad A2A su progetti contestati territorialmente. La sospensione del circolo locale è un “regalo” che certamente favorisce A2A nei propri progetti di termocombustione.

febbraio 9, 2024

Gli spot dell’apparato industrial-militare

Pubblicato su Pressenza il 31.12.23 

Olga Karatch, a destra, a Milano insieme a Katya (Ucraina) e Darya (Russia) durante il tour in Italia della Campagna di Obiezione alla guerra (Foto di Rete Pace e Disarmo)

Come se non avessimo già abbastanza guerre e atrocità corrispondenti di cui occuparci in questi giorni assistiamo a un’insensata escalation nella guerra tra Russia e Ucraina con preoccupanti risvolti che potrebbero portarla fuori della dimensione, già terribile in cui era finora, all’approssimarsi del terzo anno di combattimenti.

In un momento dove la guerra sembrava in fase di stallo e l’attenzione dei riflettori puntata altrove abbiamo assistito in rapida sequenza a tre attacchi “spettacolari” e di una notevole virulenza: l’attacco alla nave russa in Crimea, il bombardamento massiccio sulle città ucraine e la rappresaglia ucraina sulle città russe di confine.

Ovviamente la spiegazione mediatica convenzionale, ed anche quella ufficiale dei vari stati maggiori, è quella della rappresaglia per l’azione precedente; in termini di nonviolenza questo si chiama escalation e non ha nessuna soluzione se non l’interruzione della sequenza da una parte o la distruzione totale di uno dei contendenti.

Ma questa insensata fiammata di violenza (che ha pesantemente colpito, come al solito, popolazione civile non implicata nel conflitto) ha anche un’altra possibile spiegazione: le difficoltà di varie amministrazioni occidentali, a partire da quella degli Stati Uniti, a rinnovare sine die l’invio di armi in Ucraina; e queste difficoltà hanno spinto i vari piazzisti di armi (travestiti da Presidenti e Generali) a costruire un bello spot affinché si continui a vendere e usare armi: uno spot fatto di sangue e distruzione che i telegiornali trasmettono gratis senza nemmeno bisogno di pagare la pubblicità.

L’immoralità del commercio di armi, in cui l’Italia è pesantemente coinvolta, genera ulteriore sofferenza e rende sempre più sensato e urgente l’obiettivo di un mondo senza armi, guerre e violenza.

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gennaio 5, 2024

Il bivio per Aidone

Siamo arrivati in Sicilia ieri, a tarda notte. Il camionista ci ha lasciato vicino alla stazione e non ci è rimasto nulla che un tavolo di marmo alla sala d’aspetto della stazione dove Alessandro ed io abbiamo steso i nostri sacchi a pelo.

L’indomani mattina inizia l’avventura dei sue inseparabili autostoppisti in Sicilia. La leggenda metropolitana dice (lo dicono i frikkettoni) che in Sicilia l’autostop non funziona. Ma noi siamo iconoclasti e non crediamo ai luoghi comuni e così cerchiamo di capire come uscire dalla caotica città e andare verso la nostra meta di oggi, la casa di Germano e Luciano a Piazza Armerina dove sono stato l’anno scorso.

Non ricordo esattamente come è andata ma, di fatto, verso l’ora di cena siamo arrivati a Enna. L’autostop in Sicilia funziona, a modo suo, come tutto in Sicilia: passaggi piccoli di pochi kilometri, gente ospitale e curiosa di questi due ragazzini vestiti strani che vengono dal continente.

Siamo a una rotonda sotto Enna, Piazza Armerina è vicina e un’altro alloggio di fortuna non è esattamente quello che desideriamo. “dieci minuti e poi ci andiamo a cercare un posto per dormire”, sentenzia Alessandro, e quando Alessandro sentenzia, dolce ma inflessibile, non sono ammesse repliche.

E’ uno dei nostri giochi un po’ magici. In tutto quel viaggio aleggia la Dea Fortuna che guiderà i nostri passi. Non come Fato ma come compagna di viaggio. Con Lei nulla ci potrà fermare, la iella si trasformerà in opportunità, l’incidente in occasione per imparare.

Ovviamente a un minuto dalla scadenza si ferma una macchina. “Dove andate?”. “A Piazza Armerina, anzi più esattamente al bivio per Aidone”. “Va bene, salite, vado proprio in quella direzione!”.

L’automobilista è un chiacchierone, vuole sapere chi siamo e cosa facciamo ma il tragitto è breve e, più o meno alle 10 di sera siamo al bivio di Aidone dove, curiosamente, c’è uno spaccio/bar aperto e dove il nostro amico ci invita a bere qualcosa insieme a lui. Come rifiutare !! E siccome siamo del nord lui decide, arbitrariamente, che brinderemo con grappa, fa riempire un bicchiere da cognac, lo prende e lo manda giù tutto di un fiato, mentre noi, per non essere scortesi, centelliniamo.

Finiti i brindisi infiliamo la strada per Aidone e lì io cerco di ricordarmi la traversa sterrata che poi porterà al sentiero per la casa di Germano. Dovrebbe essere questa e chiediamo di essere lasciati lì.

In giornata è piovuto e entriamo nel bosco, seguendo quella che, in una notte senza luna, ci pare la strada sterrata. Andiamo avanti mano nella mano e io cerco di ricordare quella strada che avrò fatto varie volte nel soggiorno dell’anno prima. E’ buio pesto, umido e si sentono i mille rumori che un bosco restituisce di notte.

Dopo un certo andare mi fermo e dico ad Ale: “mi sono perso”. Ci guardiamo intorno e proviamo a immaginarci un modo per passare la notte. A tastoni cerchiamo qualcosa per accendere un fuoco, raduniamo un po’ di roba completamente umida e proviamo ad accendere in un punto che ci pare un po’ più asciutto di altri. Come nelle buone favole il fuoco si accende. L’idea è scaldarci e scaldare un terreno per costruire un giaciglio.

Intorno al fuoco, al suono del mio flauto, iniziano le storie di elfi e folletti che ci raccontiamo spesso; la magia è forte e presente, sentiamo che gli spiriti del bosco ci stanno proteggendo e li ringraziamo col cuore.

Infine organizziamo la cuccia, gli zaini sono cuscino e materasso e ci infiliamo in due, stretti stretti, nei sacchi a pelo infilati uno dentro l’altro e così ci addormentiamo, clamorosamente. Tranne quando ci troviamo con un fascio di luce sul volto… sono i fari di un’auto che passa di lì a un’ora che potrebbero essre le tre di notte, un signore per fortuna ci ha visto, è sceso e ci chiede, nemmeno tanto incazzato, cosa ci facciamo sulla sterrata che porta verso casa sua. Già, non era una radura, era un pezzo della sterrata che nel buio non avevamo visto e sulla quale avremmo pototo finire schiacciati da una jeep di qualcuno un po’ più distratto.

Ringraziamo gli elfi e ci spostiamo, in una sorta di dormiveglia, grazie alla luce dell’automobile, in un posto più riparato dove riusciamo, in qualche modo, a passare la notte per svegliarci la mattina, capire dove siamo e riuscire ad arrivare a casa degli amici per l’ora di colazione.

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gennaio 2, 2024

Anno nuovo, vita nuova

Questo blog è stato, dal suo inizio, un deposito bagagli, come recita il suo titolo.

Mi piacerebbe che da quest’anno raccogliesse non solo le cose già scritte ma anche qualcosa di inedito, nuove sezioni che andranno costruendosi.

Per ora è un proposito di inizio anno, vediamo cosa ne viene fuori…